Ci trovavamo tutti in un centro di recupero per crisi d’identità, nel gruppo dei nati in quella fessura temporale che separa i Millennials dalla Generazione Zeta. Avere piena consapevolezza di come e perché cambiano i tempi è una triste condanna.
L’atmosfera surreale presente in quella stanza ci metteva incredibilmente a nostro agio e anche il rinfresco a base di tartine non era male. Ci trovavamo nel posto giusto per le ragioni sbagliate.
Cominciando a chiacchierare abbiamo capito che il nostro reinserimento in società doveva passare da uno sviluppo adattivo del nostro malessere. Al secondo giro di caffè avevamo già scritto una fiction ambientata nel mondo delle case di produzione milanesi degli anni ‘70, convincendo la terapista che gestiva il gruppo ad assumere il ruolo di attrice protagonista. Ancora oggi la si vede girare per via Soperga con dei pantaloni a zampa.
Questa è, tra tutte le storie che si possono raccontare sulla nascita di LightHouse, la più vicina alla realtà. Per conoscere quelle che non si possono raccontare, dovrete entrare più in confidenza.